I DISTURBI DELL’ECCITAZIONE SESSUALE (IMPOTENZA PSICOGENA)

PREMESSA

In questo articolo cercheremo di analizzare i disturbi sessuali facendo in particolare riferimento alla disfunzione erettiva (impotenza psicogena) che è uno dei principali disturbi dell’eccitazione sessuale.

Il comportamento sessuale dell’essere umano è determinato da fattori fisiologici, psicologici ed ambientali.
E’ quindi indispensabile considerare la risposta sessuale di un individuo nella sua globalità e complessità, cogliendo sia gli aspetti organici sia psichici che interagendo fra loro determinano la qualità dell’esperienza di ognuno.

Nei casi in cui le componenti psicologiche svolgano un ruolo primario nella genesi del disturbo, questo è definito “di origine psicogena”. In un’altro articolo abbiamo già trattato di quali siano i fattori relazionali e psicologici che entrano in gioco nella sessualità. 

I disturbi del desiderio e i disturbi dell’eccitazione non sono la stessa cosa. Vi sono soggetti che hanno un desiderio sessuale normale, ma poi è come se qualche cosa si spegnesse nel momento del rapporto producendo per esempio una disfunzione erettiva. Dopo un breve paragrafo sui disturbi del desiderio, parleremo così dell’impotenza psicogena, delle sue cause e del trattamento terapeutico.

I DISTURBI DEL DESIDERIO

Il desiderio può essere considerato come la motivazione di tutti i comportamenti dell’uomo; si tratta di un sentimento complesso, variabile e contraddittorio.

Al fine di definire il limite tra normalità e patologia, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV) sottolinea che, nel parlare dei disturbi del desiderio sessuale, non è sufficiente che vi sia una qualche inibizione della motivazione a vivere la sessualità, ma è anche necessario che questa anomalia sia causa di: “notevole disagio o difficoltà interpersonali.”

La riduzione del desiderio e dell’attività sessuale, in effetti può venire per svariati motivi che hanno a che fare con una libera scelta ideologica, religiosa, o di altra natura, come il caso dell’individuo che tende a sopprimere il desiderio in attesa di incontrare un partner soddisfacente.

IMPOTENZA PSICOGENA

L’impotenza è stata definita dal gruppo di Driedrich G. K. come “la ricorrente e persistente inibizione dell’eccitazione sessuale durante l’attività sessuale con difficoltà parziale o totale a mantenere l’erezione” fino al completamento del rapporto sessuale.

Si sottolinea con tale definizione il ruolo fondamentale dei fattori psicologici nel condizionare la risposta sessuale umana.

Questi fattori possono essere considerati direttamente responsabili del deficit erettile in assenza di cause organiche e se il soggetto dichiara che l’erezione si verifica al risveglio oppure può essere ottenuta mediante la masturbazione.

Nel caso in cui il deficit erettile sia di tipo organico i fattori psicologici, come è stato constatato da molti studi, si sviluppano in seguito e contribuiscono a rinforzare il disturbo amplificandolo e mantenendolo.

E’ quindi fondamentale, in base a quanto detto, un approccio multidisciplinare al deficit erettile, poiché i casi di impotenza di origine organica sono aggravati da fattori psicologici, quali l’ansia, lo stress e la depressione che insorgono a seguito di una situazione di disfunzionalità organica che si protrae da tempo, così come nei casi di impotenza psicogena si verificano alterazioni neuroendocrine determinate dalla presenza nell’individuo di stati d’ansia, di depressione e di stress.

FATTORI PSICOLOGICI CHE DETERMINANO IL DEFICIT ERETTILE

Caratteristica di questa forma di disfunzione è l’instaurarsi di un circolo vizioso, in quanto accade che l’eccitazione e l’erezione stessa tendano ad essere inibite sia dalla paura che il soggetto ha di un insuccesso, sia dallo stress che dalle richieste di prestazione della partner.

Più è forte questa inibizione più è causa di impotenza che non fa che rinforzare la convinzione nel soggetto della propria incapacità.

Si viene così ad instaurare un meccanismo circolare che consolida il meccanismo inibitorio dell’erezione e porta il soggetto ad una perdita di stima in se stesso e nelle proprie capacità sessuali. ( di Filippo Petrucelli, pag 107)

E’ quindi evidente che diversi sono i fattori psicologici implicati nel disturbo erettile: vi è l’ansia che si manifesta sottoforma di “ansia da prestazione sessuale” e che porta il soggetto a vivere i rapporti sessuali come “esami”, divenendo così egli stesso spettatore e giudice delle proprie prestazioni.

In questo modo il paziente non vive la propria sessualità come momento di piacere, bensì come “terreno di prova” sul quale valutare le proprie capacità ed il proprio valore.

L’ansia costituisce, come visto in precedenza, un fattore inibente dell’eccitazione e dell’erezione, ciò fa sì che il soggetto sperimenti ripetuti fallimenti che inevitabilmente determino l’insorgere non solo di vissuti di inadeguatezza, ma anche di sensi di colpa verso la partner.

Lo stress è un altro fattore implicato nel disturbo erettile; può essere sia causa diretta dell’impotenza, poiché situazioni stressanti, quali la mancanza di familiarità con la partner, ostacolano l’instaurarsi dei riflessi fisiologici che determinano l’erezione, sia insorgere come elemento di concausa, in seguito ad una situazione frustrante ed ansiogena prolungata, quale appunto un deficit erettile organico.

Le richieste di prestazione della partner rappresentano un altro fattore che può condurre al
mantenimento del deficit erettile.

Il disturbo erettile, così come tutte le disfunzioni sessuali, non può infatti essere considerato al di fuori della vita coppia, poiché è possibile avere un quadro completo delle cause che hanno determinato l’insorgere del disturbo solo prendendo in considerazione anche le dinamiche relazionali presenti all’interno della coppia.

Difatti anche fra i due partners si assiste all’instaurarsi di un meccanismo circolare, in quanto il deficit erettile del paziente farà insorgere nella partner sentimenti di ansia ed insicurezza, determinati dal fatto che la donna vive l’impotenza del compagno come una forma di rifiuto nei propri confronti. (Kaplan, 1974)

Tali vissuti portano così la donna non solo a colpevolizzare il partner, ma anche a richiedere prestazioni sessuali che siano una “prova” del desiderio e dell’accettazione di lui. ( Petruccelli pag. 112)

Le richieste di prestazione insieme a fattori visti in precedenza portano all’insorgere nel paziente di una vera e propria sindrome da evitamento dell’attività sessuale.

Accanto a queste cause, per così dire immediate, ve ne possono essere altre “intrapsichiche”, le quali si sommano a quelle sopra citate e che hanno a che fare con conflitti profondi della personalità.

  • La psicoanalisi, disciplina che meglio di altre ha messo in evidenza la portata dei conflitti e delle esperienze infantili nello sviluppo della sessualità, ritiene che l’impotenza sia determinata “dall’ambivalenza e dall’incapacità di sperimentare il pene come una parte di sé positiva e piacevole” (Petrucelli, pag.107); tale vissuto è riconducibile al periodo dell’infanzia e ad una incapacità del bambino di risolvere la propria aggressività verso la figura materna, aggressività che una volta adulto rivolgerà verso le donne.

L’impotenza è quindi un’espressione inconscia ambivalente, in quanto può essere interpretata sia come una forma di ostilità verso le donne sia come una difesa da questo tipo di aggressività, essendo la penetrazione vissuta dal soggetto come un atto distruttivo.

Secondo il punto di vista psicoanalitico anche le paure inconsce di insuccesso sessuale, che si manifestano in “ansia da prestazione”, sono riconducibili al periodo infantile.

Sono infatti le paure di abbandono risalenti all’infanzia che in età adulta portano l’uomo a vivere il rapporto sessuale come un “esame” e a sviluppare ansia e paure di essere abbandonato dalla partner. (Kaplan, 1974).

Vi sarebbe inoltre una mancata risoluzione del complesso di Edipo.

Il complesso edipico appare nei bambini in quel periodo dell’infanzia che va dai 3 ai 5 anni ed è caratterizzato, nel caso del bambino maschio, dalla presenza di sentimenti molto intensi, che si esplicano in un desiderio sessuale verso la madre, mentre nei confronti del padre si hanno sentimenti sia di ostilità, in quanto viene vissuto come un rivale, sia di amore ed ammirazione.

Questa situazione di ambivalenza nei confronti della figura paterna genera nel bambino sentimenti di angoscia e sensi di colpa così intensi da far sì che egli rimuova sia il suo desiderio per la madre che l’ostilità per il padre.

La risoluzione del complesso edipico consiste quindi nell’identificazione del bambino con il padre, che viene preso come modello ed in questo modo si pongono le basi per uno sviluppo armonico della personalità.

Una mancata risoluzione del complesso edipico comporta la presenza in età adulta di problematiche verso la figura paterna, con la quale il soggetto si sente in competizione.

Tali problematiche hanno ripercussioni anche sulla vita sessuale del soggetto, poiché, come afferma Kaplan (1979), ostacolano l’instaurarsi di validi rapporti sessuali, che l’individuo vive come un atto di uguagliamento o superamento della figura paterna che l’individuo non può concedersi.

Oltre alla psicoanalisi vi sono all’interno delle diverse correnti della psicologia altre interpretazioni del disturbo erettile.

  • Secondo la psicologia comportamentista, che considera oggetto di conoscenza il comportamento manifesto, tralasciando così i processi intrapsichici, il deficit erettile sarebbe l’espressione di una situazione ansiogena che ha portato all’instaurarsi di un condizionamento negativo.

E’ sufficiente infatti che il soggetto abbia vissuto anche solo un’esperienza sessuale negativa per sviluppare una forma d’ansia in grado di condizionare tutti i rapporti successivi.

  • Altre interpretazioni considerano il deficit erettile determinato da come l’individuo nell’infanzia abbia vissuto le figure genitoriali.

Secondo tale prospettiva in un nucleo familiare in cui vi è un predominio materno l’individuo non ha la possibilità di avere come riferimento una forte immagine maschile con la quale identificarsi, mentre la presenza di un predominio paterno impedisce il confronto con il padre, con la conseguenza che nel figlio si svilupperanno sentimenti di inferiorità e di inadeguatezza. ( Petruccelli, pg.109)

  • Un altro aspetto che sembra concorrere alla genesi non solo del disturbo erettile, ma di tutti i disturbi sessuali, è l’aver ricevuto, durante l’infanzia e l’adolescenza, una educazione sessuale repressiva, fatta di proibizioni, che hanno impedito lo svilupparsi di un atteggiamento sereno e privo di timori verso la sessualità.

TRATTAMENTO

Dal punto di vista della terapia psicologica il deficit erettile viene affrontato attraverso diverse prospettive.

  • Il trattamento psicoterapico ha come obiettivo quello modificare aspetti cognitivi relativi alla sessualità e risolvere i conflitti interni dell’individuo che generano il sintomo, al fine di ricostruire le proprie convinzioni sulla sessualità in modo che “il paziente sviluppi una diversa lettura del suo disturbo sessuologico, riformulandolo alla luce di una più appropriata conoscenza del proprio stile cognitivo, della storia di attaccamento, dello stile interpersonale e della propria organizzazione cognitiva di base” (B. Bara, 1996, pg.625).
  • La terapia comportamentale, a differenza del trattamento psicoterapico, focalizza la propria attenzione sui comportamenti manifesti, pertanto il sintomo è considerato espressione di un cattivo apprendimento.

Scopo della terapia è quello di modificare la percezione del paziente del proprio schema corporeo, attraverso l’assegnazione di compiti (“mansioni”) da eseguire a casa.

Tali mansioni hanno l’obiettivo, come afferma Veglia, di “insegnare, prescrivere, gerarchizzare, riorganizzare nel tempo e nello spazio quasi tutti i comportamenti sessuali agiti ma, soprattutto, si possono suggerire nuovi atteggiamenti verso di sé, il corpo, il piacere, l’altro” (B. Bara, 1996, pg.361).

Nel caso specifico del deficit erettile è importante che il paziente apprenda a focalizzare la propria attenzione sulle percezioni di piacere provenienti dalle aree genitali, svincolando la risposta erettile dall’obbligo della penetrazione.

  • La terapia relazionale invece considera il sintomo non dal punto di vista individuale, bensì all’interno della relazione di coppia.

E’ importante che entrambi i partners siano coinvolti nel trattamento che è finalizzato alla ristrutturazione del comportamento sessuale, delle aspettative delle idee e delle emozioni legate al sesso.

Come è stato già sottolineato in precedenza è fondamentale per la risoluzione del sintomo che ad un percorso psicoterapico individuale si affianchi un trattamento che prenda in considerazione la coppia e le dinamiche relazionali che in essa si svolgono.

Dr. Daniele Molho psicologo psicoterapeuta a Magenta Milano

BIBLIOGRAFIA

B. Bara (1996), Manuale di psicoterapia cognitiva, Bollati Boringhieri.
H. S. Kaplan (1974), Nuove terapie sessuali, Bompiani, Milano, 1976.
H. S. Kaplan (1979), I disturbi del desiderio sessuale, Mondadori, Milano, 1981.