Come è noto le relazioni che instauriamo nella vita adulta e in particolare quelle della vita di coppia, sono fortemente influenzate dalle relazioni che abbiamo già sperimentato nel periodo dello sviluppo con le figure genitoriali.
Molti autori si sono occupati di approfondire il legame tra relazioni sperimentare nell’infanzia e vita coppia nella fase adulta. In particolare proprio la psicoanalisi è stata quella con il più fertile e consolidato ambito di ricerca con le teorie dell’attaccamento che hanno preso avvio negli anni 60 dagli studi dello psichiatra inglese J. Bowlby.
E’ stato così dimostrato il fatto che attraverso “Modelli Operativi Interni” (MOI) tutti noi ci costruiamo delle teorie, o meglio degli schemi mentali, con i quali interagiamo con l’ambiente dal punto di vista affettivo e relazionale. Questi Modelli Operativi Interni solo legati agli “stili di attaccamento” sperimenti nell’infanzia con le figure genitoriali.
Hazan e Shaver (1987) hanno dimostrato la somiglianza tra gli stili di attaccamento adulto e le relazioni sperimentate nell’infanzia.
– Bambini che hanno sviluppato un attaccamento “sicuro” diventano adulti fiduciosi, in grado di stabilire rapporti significativi, disponibili all’impegno, all’accettazione della dipendenza reciproca.
-Bambini che hanno sviluppato un attaccamento “evitante” diventano adulti distaccati, insofferenti rispetto alle relazioni troppo strette e alla possibilità di dipendenza.
-Bambini che hanno sviluppato un attaccamento ansioso diventano adulti preoccupati di non essere amati, incerti, terrorizzati dalla pausa che la relazione si interrompa e desiderosi di “fondersi” con il partner.
Consciamente o inconsciamente ogni membro della coppia ha delle fantasie, dei desideri, (Sandler, 1993) e agisca nei confronti dell’altro in modo da imporre il ruolo richiesto, attribuendo poi a se stesso un ruolo complementare.
Le combinazioni, come possiamo immaginare sono proprio molteplici, relazioni evolutive finalizzate alla conoscenza e alla crescita dove l’altro viene percepito come separato da se, piuttosto che relazioni regressive in cui viene messo in atto un bisogno “fusionale” frustrando però il bisogno di autonomia e individuazione dei membri.
Assistiamo nella pratica clinica alla paradossale situazione in cui un soggetto continua a perpetuare nella vita adulta proprio gli schemi relazionali che sono stati fonte di maggiore sofferenza durante l’infanzia. Ecco come Zavattini esprime questo concetto: “In sintesi se il processo di “rivisitazione” della propria esperienza interna- per quanto inconscio e non da leggersi ingenuamente come una sorta di cinghia di trasmissione – fallisce nella direzione di non potere mitigare gli aspetti disattivativi delle relazioni interne, potremmo trovarci di fronte a una situazione da leggersi in senso patologico in cui il legame di coppia viene utilizzato come il luogo in cui esteriorizzare le dimensioni persecutorie e non ci si può giovare di nuove introiezioni.” A questo proposito diverse ricerche hanno dimostrato come nell’ambito delle relazioni adulte i partner vittima tendano a restare attaccati al partner abusante, malgrado questo sia fonte di sofferenza. Le ricerche hanno a questo proposito dimostrato che le vittime soffrano di una mancanza di fiducia di se e del fatto di potere avere una relazione soddisfacente e ciò le porta a pensare che quella sia per loro l’unica forma di relazione possibile.
Vi sono moltissimi esempi che si possono rilevare nella pratica clinica: un esempio può essere quello di un marito che non si è liberato del suo bisogni di avere una figura materna e quindi tende a proiettare questo bisogno sulla moglie, spingendola ad assumere un ruolo materno e assumendo, lui stesso, il ruolo complementare di figlio.
Questo tentativo di dare un ruolo a se e all’altro e la risposta dell’altro membro della coppia, in termini di rifiuto o accettazione, avviene in modo quasi sempre inconscio da parte dei soggetti.
Con il progredire della ricerca in questa campo, oggi si da credito all’idea che i propri “modelli interni” vengano rivisti all’interno della relazione adulta sulla base della capacità di adattamento dei partner di “sintonizzarsi” sui bisogni affettivi reciproci, nel riconoscere gli stati mentali dell’altro e nell’offrire reciprocamente sostegno e protezione.
Sulla scorta di questo ampio filone di ricerche alcuni autori hanno visto nel matrimonio “una relazione terapeutica naturale” (Henry Dicks, 1967) in quanto luogo in cui si rimettono in campo ciò che è rimasto irrisolto nelle prime esperienze infantili contribuendo in alcuni casi a sciogliere i conflitti originari e quindi a vivere la relazione adulta in modo armonico, mentre in altri casi vengono riproposti i vecchi schemi senza possibilità di risoluzione.
Si parla di “sintonizzazione,” “monitoraggio affettivo reciproco” Zavattini (1999) quella modalità relazionale in cui i membri della coppia realizzano un buon adattamento dei loro bisogni profondi.
Ma questo “incastro di mondi interni” (Dicks, 1967) in cui ognuno affida parti di se all’altro, in funzione delle proprie esperienze di accudimento, è soggetto, come afferma ancora Zavattini (1999) ad un equilibrio in continua rivisitazione.
Dott. Daniele Molho psicologo- psicoterapeuta. Magenta, Corbetta
BIBLIOGRAFIA
DICKS, H.V.(1967) Marital Tension. Trad It. Tensioni coniugali: studi clinici per una teoria psicologica dell’interazione. Roma, Borla. 1992
HAZAN C., SHAVER P.R., (1987), Romantic Love Conceptualized as an Attachment Process, Journal of Personality and Social Psychology, vol. 52, 3, pp. 511-523. Tr. it. L’amore di coppia inteso come processo di attaccamento, in: L. Carli (a cura di) Attaccamento e rapporto di coppia, R. Cortina, Milano 1995, pp. 91-125.
SANDLER J. (1993) Note psicoanalitiche sull’amore In D.N. Stern e M. Ammaniti (a cura di) Psicoanalisi dell’amore. Bari:Laterza, 46-57
ZAVATTINI G.C. (1999), Psicodinamica e psicoterapia psicoanalitica nella coppia. Psychomedia, 19 maggio, 1999
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